Arcangelo


Arcangelo ” Stanze sannite” a cura di Ivan Quaroni Dal 1 al 23 dicembre 2004

Testo


 


Arcangelo: Le stanze sannite
Incontro Arcangelo, come di consueto, nello studio di Via Benedetto Marcello a Milano. Non è il suo unico studio, né il più capiente, ma è certamente quello preferito dall’artista. Quella che fino all’anno scorso era la sua casa, è diventata oggi un laboratorio raccolto, un luogo di lavoro e di incontri, ma anche un archivio ed un posto di ritrovo tra amici.
Sul tavolo della cucina, angolo deputato a queste nostre chiacchierate sull’arte, sono sparsi le fotografie e i progetti più recenti, gli inviti delle prossime mostre e quello della presentazione del libro appena realizzato con Alda Merini…
Seduti davanti a due tazzine di caffè e a due pacchetti di sigarette iniziamo questa nostra conversazione per l’Obraz…
Il ciclo dei Sanniti, ultimo in ordine di tempo nella tua produzione, comprende oltre alle tele anche una serie di episodi plastici e scultorei. Il primo, esposto alla mostra i “Cantieri dell’arte” negli immensi spazi delle ex Cartiere Binda, è il Palo Sannita, una struttura con tronchi di castagno, che rievoca i drammatici momenti del terremoto dell’Irpinia. Altre sculture sono state esposte da Lorenzelli Arte, nella mostra “Lunga notte di stelle Sannite”: le suggestive Teste Sannite in cera, le Bisce Sannite (Un mondo di vipere) in bronzo e, soprattutto, il grande Palo Sannita in ferro, che ripropone la forma fallica delle tue Montagne Sante pur con l’inserimento del pittogramma dell’impiccato, mutuato dall’immaginario romanico e ormai divenuto emblema ricorrente del ciclo dei Sanniti. Infine, con questa tua mostra all’Obraz, esponi per la prima volta le Stanze Sannite. Di che cosa si tratta?
Con questa scultura, vorrei raccontare in modo semplice e immediato i sentimenti e le impressioni legate alla quotidianità della mia terra, al sostrato della cultura popolare e contadina di un territorio – il Sannio – a cui, come ben sai, ho dedicato larga parte della mia produzione.
Quando ero bambino, ricordo che mio padre mi portava spesso con sé nei suoi “viaggi” in macchina attraverso la provincia beneventana. In quelle occasioni potevo osservare i campi, i contadini, insomma tutta la cultura rurale di zone spesso difficili da raggiungere… Di quei momenti ricordo vivamente il profumo della terra, ma anche le case dei contadini, composte di stanze spoglie, di una semplicità estrema, quasi tirata all’osso. In queste case c’erano pochissimi elementi: uno o due letti, un tavolo e poi una scala di legno che conduceva alla zona superiore, dove si faceva asciugare il tabacco o il fieno. In pratica, quelle che io ho chiamato Stanze Sannite riproducono la tipica suddivisione di queste case, caratterizzate da una zona a giorno al piano terra e da una zona magazzino al piano superiore. Si tratta di un’organizzazione degli spazi sostanzialmente non molto diversa da quella delle case dei Dogon o dei Lobì, che si trovano nel territorio africano del Mali, dove si può trovare, accanto ad una stanza abitata, una stanza dove sono riposti i vasi di ceramica.
Come sempre, sono interessato a storie piene di rimandi e di suggestioni che rimbalzano dall’Africa al Mediterraneo fino al nostro Mezzogiorno…
E poi questa Stanza Sannita è si una scultura, ma è anche il modello in miniatura di un progetto che intendo realizzare in scala reale, come una sorta di tributo alla cultura della mia terra. Nel caso ci riuscissi, mi piacerebbe che questa stanza scultorea fosse percorribile, che le persone potessero salire su quella scala per sentire i profumi del tabacco e della paglia. Sarebbe un monumento alla produzione del tabacco, che ha caratterizzato l’economia del Sannio e dell’Irpinia.

Infatti ricordo che realizzammo insieme la mostra “Cittadini e non” proprio in un ex essiccatoio del tabacco a San Martino Valle Caudina… Che cosa rappresentano le sfere e i simboli che hai inserito nella Stanza Sannita?
Sono immagini desunte dal mio vocabolario pittorico, segni ricorrenti che non hanno un significato univoco, ma un valore puramente allusivo. Le sfere sono i nostri mondi possibili, quelli che una volta io chiamavo Pianeti, evidentemente perché questo pianeta non mi piace molto… Qualche volta, anche quando siamo chiusi nelle nostre case, cerchiamo altri mondi ed altre dimensioni…

…sono mondi e dimensioni interiori?
Si perché, personalmente, preferisco cercare questi mondi all’interno piuttosto che all’esterno. La dimensione dell’intimità mi è congeniale. Non a caso mi sono accorto che, a differenza di altri artisti che preferiscono lavorare in studi molto grandi, io ho bisogno di uno spazio raccolto, intimo, in cui c’è un’atmosfera a misura d’uomo…

Quando l’estate scorsa mi hai raccontato l’idea delle Stanze Sannite, ricordo che insistevi soprattutto sui risvolti drammatici…
Ti ho parlato della drammaticità della solitudine dell’uomo perché penso che tutti, chi più e chi meno, viviamo stati di solitudine. All’inizio volevo inserire nelle Stanze l’immagine dell’impiccato, che ricorre anche nei miei lavori pittorici, per rispecchiare il difficile momento storico in cui ci troviamo, ma poi ho preferito adottare una soluzione meno diretta. Credo che ognuno debba ritrovare questo senso drammatico da solo. Io posso solo suggerirlo attraverso queste stanze spoglie…

Tu mi dicevi che la suddivisione tra una zona diurna ed una notturna della casa poteva rispecchiare il dualismo insito nell’uomo, quello tra la parte in luce e quella in ombra, l’angelo e il demone…
Una volta, da bambino, mio padre mi lasciò, non ricordo più per quale motivo, in una di queste case di contadini. La notte, salita la scala di legno, fui messo a dormire con una coperta su un letto di paglia…ricordo ancora la curiosità e la paura perché per me era una situazione nuova. Fu una vera e propria esperienza…come se avessi fatto un viaggio.
E poi c’è questo fatto: ti sei mai accorto che passando da un ambiente all’altro di una casa cambia l’atmosfera ed anche il nostro umore? Per esempio, la cucina è un luogo conviviale, che invita al dialogo e alla discussione e predispone certi stati d’animo, la zona notte è, invece, un luogo silenzioso e misterioso, che favorisce l’intimità, il pensiero… anche se poi ognuno vive questi passaggi secondo la propria sensibilità…

I tuoi lavori, che spesso attingono a memorie e ricordi personali, possono essere letti anche in una chiave più universale?
Certo che si. Io racconto la mia esperienza, che non è quella di un uomo dell’Ottocento, ma quella di un uomo contemporaneo. Ogni artista racconta la propria esperienza di vita attraverso quello che gli è successo, i viaggi, la sensibilità. Io non posso raccontare qualcosa che non ho visto, letto o sentito…

Abbiamo tante volte parlato del Sannio come di una terra che riecheggia tutte le suggestioni del mediterraneo e perfino dell’Africa, una sorta di Grande Madre…
Tu stesso hai scritto che parto dalle Navi e arrivo alla Mecca, che passo dai Misteri per giungere ai Feticci e lo stesso percorso si può fare a ritroso, fino agli Altari… Tutto è collegato, perciò il mio Sannio può diventare l’Africa dei Dogon e dei Lobì e i misteriosi battenti di Guardia Sanframondi possono somigliare ai mullah arabi o ai pope ortodossi…

Proprio gli Altari, tra l’altro, sono stati uno dei tuoi primi cicli scultorei. Si trattava di brani di saracinesche e testate di vecchi letti recuperati, che, sotto forma di plinti e colonne totemiche, alludevano ad una sacralità arcaica e ad un’aurea classicità…
Era un momento in cui dovevo uscire fuori dai cicli di Terra mia e dei Pianeti, quindi da dieci anni di pittura dura, quasi monocroma, fatta di bianchi e neri…

Anche il viaggio nell’Africa dei Dogon è stato uno stacco dal clima di Terra mia?
Tutt’altro. L’Africa la sentivo come “terra mia”, così come la Cina di Verso Oriente… Io passo da una parte all’altra del pianeta, talvolta immaginando anche mondi su altri pianeti, per ritrovare sempre e solo me stesso e la mia terra…
Quale ruolo pensi che avrà la scultura nella tua ricerca futura?
Avrà un ruolo sempre più importante. Nella pittura ho trovato un punto di equilibrio in cui mi sento abbastanza soddisfatto…

…un sentimento pericoloso per un artista…
Assolutamente si. Tu sai che quando parlo così vuol dire che sto già cambiando. La scultura, materia nella quale mi sono diplomato all’Accademia di Roma, ha avuto un ruolo importante nella mia ricerca, anche se gli ho dedicato sempre solo piccoli cicli, dagli Altari alle Montagne Sante, dalle Navi in cera alle Anfore in terracotta, dagli Orti in ceramica fino alle Teste e ai Pali Sanniti. Adesso mi sembra giunto il momento di esplorare questo territorio più a fondo, di dedicargli forse più tempo…

Oltre alla scultura Stanza Sannita, in questa mostra sono esposte anche delle carte. Come sono nati questi disegni?
Recentemente ho fatto un libro con Alda Merini, intitolato Carro d’Amore. È un volume che raccoglie alcune liriche della poetessa milanese e tre mie incisioni eseguite a punta secca e zucchero. Il tutto è stato stampato nel Torchio di Pierluigi Puliti su carta Hahnewüle. Naturalmente, in fase di esecuzione sono state fatte molte prove di stampa. Su queste stampe sono intervenuto pittoricamente, trasformandole in lavori originali a tutti gli effetti. In questi disegni si ritrovano tutti i miei segni ricorrenti – i cervi e i carri preistorici, l’impiccato, la materia e la pittura, le scritte – , insomma, tutta la geografia dei miei racconti…
Mi piacerebbe sempre più spesso realizzare, tra le altre cose, libri come questo. Ho in mente di farne uno con il poeta arabo Adonis, che verrebbe stampato col testo in italiano e in arabo…

Come mai hai accettato di esporre il progetto delle Stanze Sannite in uno spazio come l’Obraz, tradizionalmente dedicato alle proposte giovanili?
Quella tra artisti giovani e artisti maturi è una distinzione che si è accentuata solo negli ultimi anni. Adesso ci sono gallerie che trattano solo giovani artisti, gallerie che trattano artisti più affermati ed altre che fanno solo mercato. Questa è una cosa che non capisco. Secondo me una galleria dovrebbe trattare tutte queste cose contemporaneamente, come peraltro fa da anni la Galleria Tanit di Monaco. E poi le etichette non mi sono mai piaciute… Io ho accettato l’invito di Obraz perché mi sento contemporaneo, come lo sei tu e come lo è il buon Loris…
Forse un altro artista con la mia storia non l’avrebbe fatto, ma a me piace mettermi sempre in discussione ed esplorare spazi e situazioni interessanti come quelli del Volume! di Roma o dell’Obraz di Milano.

Secondo te c’è ancora mistero nell’arte?
Non conosco il lavoro di tutti i giovani artisti in circolazione, ma posso affermare con tranquillità che finché c’è l’uomo l’arte non finirà, così come non finirà il mistero che ad essa sottende…

Intervista di Ivan Quaroni