Marco Casentini “Border”A cura di Marta Casati dal 30 marzo – 30 aprile 2006
BORDER
Niente si conosce senza la percezione, ma l’essenza delle cose non si ottiene con la sola percezione. Ciò che occorre come indispensabile è una riflessione distaccata dal semplice percepire. “Alla natura delle cose appartiene l’esistere” scriveva Spinoza nel suo Ethica ordine geometrico demonstrata, resta il fatto che per coglierlo non basta osservarlo. La mente procede per nozioni comuni a ogni uomo, strutture semplici, lineari, assiomi di colori, insiemi e composizioni di unità. Lavorando sul predomino che queste griglie hanno ed esercitano sul pensiero si generano situazioni percettive diverse. Ogni esperienza è realtà, ogni suo elaborato rientra nella coscienza.
Percepire e convertire: è questa la duplice chiave per leggere il lavoro di Marco Casentini. Così lo si può interpretare, così è stato sviluppato dall’artista. Casentini accoglie il dato e lo rielabora associandone una struttura che, anziché appesantirne l’eterea ossatura percepita dal ricordo, la snellisce. Casentini converge l’emozione provata durante un viaggio, un’esperienza, un trascorso vissuto in un codice segnico puro. L’emozione è ridotta al nitido rigore di una forma dalla struttura lineare, in una concatenazione libera di rimandi. Ogni colore richiama e ricerca l’altro, tenta di posizionarsi vicino senza mostrarsi o essere invasivo. I piani si compongono su un livello che, se a prima vista appare unico, presto si dipana occupando profondità diverse.
Casentini interroga ogni successione spaziale permettendo a ciascun livello di interagire con l’altro. Il fruitore ha il compito di allontanarsi o entrare nel vivo del dialogo architettonico a seconda del momento. Un binario che corre in bilico, un ponte tra territori confinanti. Il gioco è vinto da chi resiste e si mantiene in equilibrio tra la ridondanza di un interno e l’apertura degli spazi esterni. Nel dipinto, come nell’assetto della realtà, si ha la libera facoltà di addentrarsi o di fuggire, di sprofondare nel centro o di evadere verso l’oltre. Nel mezzo resta, comunque, un confine.
Border: limite che ingabbia, gate che concede la fuga.
È la visione di un orizzonte in Mexico o di un panorama californiano, l’uno esplosione di colori egocentrici, l’altro asettico perché eccelso incontro di atonismi e chiarori. La luce si scopre in atto là dove aumenta la potenza di un bianco purissimo, oscurità in potenza se svelata come minaccia di un nero imminente. Ciascuno, quale esperienza della realtà, dipende da conoscenza e coscienza, percepire e riflettere.
Casentini osserva dalle vetrate del suo studio milanese l’imbarazzante ordine delle strutture architettoniche che dominano la visuale. Scale di quadrilateri o rettangoli seguono direttive tiranne quanto perentorie. Non si lascia intaccare dal loro elevarsi, piuttosto si abbandona al crocevia cromatico situato alle porte delle due Americhe. Ecco che allora giunge attenta la similitudine. La griglia si annida e si offre generosa alle superfici in ottone, in acciaio o alluminio. L’artista intreccia procedendo per assimilazione mantenendo il tessuto connettivo incontaminato, in totale distacco. Non ricorre a virtuosismi compositivi o ruffiani escamotages. Il compito di concentrarsi sul primo o sul più lontano piano spetta all’occhio che li percepisce fino a rifugiarsi nella mente che li connette e traduce. Il simbolo è convertito in sintomo. Così la portata di ogni particella, come fossero lettere di un qualche alfabeto, è avvalorata, raggiunta.
Il confine, nel frattempo, si domanda se è preferibile essere ignorato o violato, oltrepassato o rispettato fino a scegliere di non voler e dover scegliere alcuna risposta. Solo può conservarsi border.
Marta Casati