Paolo Maggis : “ I volti neri “ a cura di Mimmo Di Marzio Dal 9 al 26 novembre 2000
Paolo Maggis ” Enrico e il rinoceronte” a cura di Caterina De March Dal 16 aprile al 9 maggio 2003
I VOLTI NERI DI PAOLO MAGGIS
a cura di Mimmo Di Marzio
La prima personale milanese del giovane pittore Paolo Maggis è, se possibile, l’ennesima conferma di come la pittura data per sepolta da certa critica, costituisce ancora un mezzo espressivo principe per l’arte del nuovo millennio.
Proprio quando sembrava aver già detto tutto, emarginata se non addirittura funeralizzata da una critica sempre più impegnata a guidare l’arte tra le complesse frontiere della multimedialità, delle avanguardie concettuali e delle contaminazioni estetiche, eccola risorgere come l’Araba fenice alle soglie del nuovo millennio. Quello di oggi è un panorama certamente frammentato, a volte polverizzato in una vasta gamma di stili, ma pur omogeneo all’interno di un linguaggio che, abbandonati simbolismi e informale, attinge a piene mani alle immagini dalla realtà storico sociale e sempre con una forte attenzione alla tecnica.
Una nuovo realismo che riflette contraddizioni e ansie di un’epoca sempre più filtrata dai moderni mezzi di comunicazione, dai media, dalle tecnologie e dalla pubblicità. Pur con alcune eccezioni. All’interno di questo universo emergono generi ben contraddistinti dove alcuni capiscuola fanno da volàno a schiere di figli «degeneri» dell’accademia, rifiutata in una didattica ancorata al concettuale e sostituita da altri modelli: il cinema, la pubblicità, finanche il rock. Tra le nuove correnti spicca quella identificata, a torto o a ragione, sotto il termine di «medialismo»: una pittura che ripercorre, con ironia e acutezza, paradigmi e linguaggi dei nuovi media. Un realismo visionario che fa scorrere sulla tela soggetti e vicende legate alla realtà metropolitana, il mondo della strada, l’iconografia dello star system e della cronaca. Oltre al graffitismo, anche il nuovo fumetto italiano ha precise responsabilità tra i fattori che hanno condizionato la nuova pittura italiana. È certamente il caso di tutti quei giovani pittori in cui il linguaggio dei comics si fonde a contenuti narrativi legati al thriller e al delitto da prima pagina. Il tema del crimine in rivisitazione pop e le atmosfere noir della cronaca costituiscono del resto un altro filone che ha ispirato alcuni tra i pittori più interessanti del nuovo panorama italiano.
Ma se questi linguaggi dimostrano che il pop è ancora una poetica fortemente viva nell’arte contemporanea, altrettanto vivi sono gli aneliti che provengono dai “nipotini dei selvaggi tedeschi” i cui soggetti, scelti dalle pagine di cronaca nera e da un microcosmo popolato di killer e prostitute, diventano l’escamotage per una pittura gestuale dai cromatismi forti e dalle pennellate decise. Il giovanissimo Maggis è tra questi. Le sue teste, i suoi corpi espressionistici e quasi baconiani pongono sempre il dramma dell’esistenza umana al centro dell’opera.
La mostra milanese presenta gli ultimi lavori a tecnica mista incentrati su una figurazione fortemente materica che ha come soggetto il volto umano, ripetuto ossessivamente su tele di piccolo formato. Così le opere formano un’installazione che dà luogo a un unicum dove le teste rappresentano un territorio di messaggi legati all’inconscio. L’artista, che rappresenta una figura di indiscusso interesse nel panorama dell’ultima generazione della nuova pittura, ha già partecipato a numerose collettive tra cui “Personae” curata da Luciano Caramel.
Mimmo Di Marzio
“Enrico e il rinoceronte”
a cura di Caterina De March
La prima volta che ho incontrato Paolo Maggis lavoravo ad una sua intervista. Le poche domande che mi ero preparata, inaspettatamente, avevano provocato l’accorato disappunto e lo sfogo che solo un giovane artista toccato nel vivo delle sue convinzioni poteva esprimere: “le mie tele non dicono nulla, non vogliono e non devono dire nulla”.
Pensai: “Chiunque osservi un dipinto è sottoposto a degli stimoli le cui reazioni non possono essere negate”. Vivere l’arte può voler dire condividere, negare o avvicinare sentimenti altrui.
Caterina De March
“Enrico e il rinoceronte” è la mostra nella quale la memoria, la nostalgia dei ricordi e il gioco col pubblico diventano centrali al lavoro dell’artista.
Il ragazzo del “no” alla dialettica, stavolta, si è esposto e nel gioco delle parti si è fatto autore e spettatore delle nostre emozioni. Per la prima volta Paolo Maggis comunica scientemente stimolando l’osservatore con oggetti della memoria comune che diventano fonemi di un dialogo col passato. Un’altalena invade lo spazio reale e diventa liaison tra noi ed Enrico, tra il bambino e i suoi giochi. La scena è reale, vera, eppure inspiegabilmente fredda e misteriosa. Come sempre Maggis porta sulla tela un frammento di vita e lo fa confondendoci per poi lasciarci liberi di condurre un singolare dialogo tra noi e i ricordi. Liberi, con la fatica e il sottile dolore che questo comporta.
Le immagini costituiscono il terreno di mediazione della comunicazione e, oggi che comunicare dipende sempre meno dal sentire individuale dell’artista e sempre più da un sentire comune, l’opera di Maggis può considerarsi come una delle poche, originali, filiazioni di quella propaggine di pittori, fotografi e video maker che negli ultimi anni hanno fatto del mondo giovanile, già pesantemente sfruttato dalla pubblicità e dalla moda, la loro principale fonte d’ispirazione.
Originale, perché nei dipinti di Maggis non c’è la retorica del fashion style di matrice americana riversatosi su tanta produzione artistica italiana fine anni Novanta. Non c’è univocità di lettura. Porsi di fronte ad un dipinto di Maggis significa innescare un processo associativo ogni volta personale e unico.
Come nelle immagini catturate dall’obiettivo di Wolfgang Tillmans o nei desolati paesaggi suburbani creati da Botto & Bruno, i giovani che abitano lo spazio di una rappresentazione sono figure senza identità, icone del nostro tempo, soggetti presenti e assenti al tempo stesso, individui senza storia in situazioni comuni, dove chiunque può ritrovare una parte di sé o della propria storia.
Nel suo repertorio d’immagini: corpi, ritratti, l’arredamento dell’appartamento d’amici o quello “sgangherato” del proprio studio, talvolta paesaggi metropolitani, diventano i soggetti dipinti di una realtà in cui le immagini sembrano voler contribuire all’incertezza dei nostri tempi.
Dai corpi nerboruti e oscuri di “Duel” (2000) ai ragazzi coloratissimi e stereotipati di “Amici miei” (2002) e ancora attraverso le carni, ugualmente tenere e macabre, di una sconcertante serie di neonati, Paolo Maggis, con “Enrico e il rinoceronte”, porta allo Spazio Obraz il gioco, in un nuovo e più stringente rapporto col visitatore.
Caterina De March