Andrea Bianconi “Italian secret service” a cura di Marina Mojana. Dal 22 settembre al 30 ottobre 2004
Italian Secret Service
Nel 1968 – Andrea Bianconi non era ancora nato – il regista Luigi Comencini firmava un film tanto arguto quanto divertente: “Italian Secret Service”. Interpretato da Nino Manfredi, distribuito da Cineriz, presentato da Angelo Rizzoli. La pellicola fu la risposta nostrana e poetica (dunque realistica) al geniale agente britannico 007 che sei anni prima aveva stupito il mondo di celluloide con il fortunato “Licenza di uccidere”, protagonisti Sean Connery e Ursula Andress.
Alla flemmatica ironia anglosassone fece da contrappunto la generosa fantasia italiana, capace di raccontare un eroe umano (dunque fallace), domestico, credibile, quanto l’agente 007 era impeccabile, internazionale, incredible. L’agente Connery faceva sognare (e non soltanto le donne), ma l’ex partigiano “Cappellone” Manfredi insegnava a vivere (e a sopravvivere).
Con aria sorniona Comencini fece della parodia, è vero, e non fu da meno la colonna sonora composta da Fiorenzo Carpi, caratterizzata da una vena di ironia sentimentale.
Oggi ritrovo nella ricerca espressiva di Andrea Bianconi, da un paio d’anni coerentemente e ossessivamente concentrata sul tema della privacy, dell’intimità spiata e talora violata, la stessa intelligenza e la stessa poesia del film di Comencini. Soprattutto avverto la felicità dell’artista nel tradurre in oggetti mascherati la passione (cioè la sofferenza) della sua vita.
Per Andrea Bianconi inventare e modellare sempre nuovi e diversi oggetti per spiare il “vicino” senza esserne visti, o per nascondere un segreto in un imbuto di ferro, che si trasforma così in contenitore di privacy, non è un esercizio di stile e neppure uno sfoggio di talento. È anzitutto una necessità. È una dinamica di conoscenza. È un gesto critico, perché anzitutto è un gesto artistico.
Per Obraz di Milano, Andrea Bianconi ha progettato un’installazione ambientale, trasformando i due locali della galleria in un gigantesco oggetto surreale e domestico al tempo stesso, in cui conscio e inconscio convivono in modo artistico e originale.
Alla fase ideativa, documentata da una serie di disegni, quasi fossero sceneggiature colorate o scenografie scritte, segue quindi la creazione pratica, che Andrea Bianconi realizza personalmente, usando le sue mani, le sue dita, i suoi occhi, la sua energia e la sua fantasia, per mettere in gioco tutto il suo mondo interiore.
Non è difficile riconoscere, negli oggetti contenitori di privacy e nelle macchine per spiare – gli spyetors – che arredano le stanze, la testa dell’uomo di giurisprudenza (che li ha pensati) e la mano del modellista (che li ha confezionati). Appartengono alla stessa persona, a un giovane artista che osserva la vita cercando nell’altro la verità di sé. Andrea Bianconi non è dunque una mia scoperta. Andrea Bianconi si sta scoprendo da solo.
Marina Mojana