Daniele Girardi ” Chromogenesis” a cura di Ivan Quaroni . Dal 9 al 27 giugno 2004
Archetipi per una nuova Era
Ivan Quaroni
Ogni gesto faceva dondolare brandelli di pelle, pelo e piume; arti minuscoli erano pronti ad afferrare; occhi roteavano da nicchie scure; corna ramificate e protuberanze ossee sporgevano in modo precario; antenne si contraevano e bocche scintillavano. Ammassi di pelle multicolore parevano in conflitto. Uno zoccolo fesso batteva piano sul pavimento di legno. Ondate di carne andavano a infrangersi le une contro le altre in correnti impetuose. Muscoli legati da tendini alieni a ossa aliene operavano insieme in un inquieto armistizio, con movimenti lenti e carichi di tensione. Squame luccicavano. Pinne fremevano. Ali sbattevano. Chele da insetto si aprivano e si richiudevano.
(China Miéville – Perdido Street Station)
In superficie
Il campionario di mostri e nuovi incroci scaturito dalla febbrile immaginazione di Daniele Girardi potrebbe tranquillamente sortire da un manuale di zoologia fantastica come quello che, nel 1957,con un’operazione letteraria delle più colte, compilarono Margarita Guerrero e l’ormai cieco Jorge Luis Borges.
Oppure, potrebbe essere l’anticipazione preveggente di un bestiario futuribile, quello magari di un’epoca in cui la sperimentazione genetica abbia passato il segno o la fauna, ormai agonizzante e a rischio d’estinzione, abbia subito gli effetti tossici di una delirante e terroristica guerra chimica.
Gli amanti del Cinema si sentirebbero forse più a loro agio immaginando le creature di Girardi come il frutto di una folle ricerca scientifico-estetica, condotta da un nuovo Frankenstein con l’intenzione di replicare in modo eccentrico, ma innegabilmente originale, le visioni contenute in quell’infernale wunderkammer “picta” che è il “Giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch.
Più prosaicamente, coloro che hanno seguito le vicende della cronaca dell’ultimo decennio, non faticheranno a chiamare in causa la terribile esemplarità del caso della pecora Dolly, che per prima scosse la pubblica attenzione, provocando le reazioni favorevoli o contrarie di opinionisti, scienziati, politici, letterati e pensatori d’ogni sorta.
D’altro canto, con piglio altrettanto drammatico, sebbene meno pretenzioso, il tema della mutazione ha permeato per un buon quarantennio le pubblicazioni delle due principali case editrici americane specializzate nella pubblicazione di fumetti dedicati agli eroi in calzamaglia: le gloriose Marvel e DC Comics. Messi da parte gli eroi tradizionali, infatti, a partire dagli anni Ottanta, le testate figlie di X-Men si sono moltiplicate esponenzialmente, dapprima con le timide, ma curiose avventure di Alpha Flight ed Excalibur, il corrispettivo canadese ed inglese del gruppo di Xavier, e poi con le numerose versioni future, parallele o aggiornate delle vicende della famosa accolita di mutanti genetici, in una pletora di sequel, serie regolari, miniserie e grafic novel che hanno saturato la pazienza dei più accaniti lettori.
Il Grande Schermo, per parte sua, non ha lesinato quanto a mutazioni, mostri, incroci ed indubbi connubi tra specie animali, a metà tra ferocia fantascientifica e spiritosa gigioneria infantile. A partire, infatti, dall’Alien di Ridley Scott, partorito dalle derive mentali di Giger, fino agli strani esseri che percorrono le lande desertiche de L’impero colpisce ancora, dagli incroci alieni di MIB o del Quinto Elemento alle ibridazioni zoomorfe di Walt Disney, tutta la filmografia contemporanea ha ampiamente sfruttato forme e funzioni del regno animale componendole, come Daniele Girardi, in mix inediti.
Le opere dell’artista veronese sarebbero quindi il frutto di tutte queste sollecitazioni, il prodotto visivo di una cultura che ha inevitabilmente assorbito il patrimonio iconografico dei comics, della TV, dei media e della letteratura di genere e li ha convogliati entro i confini di quello che Gianluca Marziani ha chiamato “il Nuovo Quadro Contemporaneo”, dove “la memoria iconografica incontra la tecnologia e aderisce alle istanze della società odierna”.
…attraverso…
Le ibridazioni e i grovigli bestiali di Girardi, immersi in una luce lisergica, dove lo spettro cromatico oscilla tra le tinte dei gialli e dei verdi fluorescenti, sono il risultato di un percorso creativo a tappe, che scandaglia le possibilità espressive del disegno, della scultura, della fotografia e della pittura, riconducendole ad un progetto unico.
X-Farm, questo il titolo del progetto di Girardi, è un campionario tipologico di ibridazioni multiple, una raccolta di variabili d’innesto in cui il mondo degli anfibi si fonde con quello degli insetti, quello dei rettili con quello dei mammiferi e così via, in un coacervo di trasformazioni che gareggia, per forza espressiva, con le pagine miniate di un bestiario medievale e, per fantasia, con le celebri Metamorfosi ovidiane.
La processualità è il fulcro del lavoro di Girardi. Attraverso numerosi passaggi, l’artista metabolizza le informazioni visive fino a raggiungere un’immagine finale.
Dapprima, in fase progettuale, Girardi disegna le possibilità d’innesto, ipotizza la genesi di una mutazione, esponendo sul foglio candido le teste e le sezioni di tronco, le zampe, gli arti e le chele di specie diverse.
In seconda istanza, riesumando forse le sue memorie infantili, l’artista si procura una serie di animali giocattolo in PVC, che seziona con un bisturi chirurgico per ricavare il materiale primario delle sue future sperimentazioni. Poi, fedele al progetto originario, come un folle bricoleur animato dalla furia abduttiva, compone gli esemplari di una nuova specie, facendo combaciare le parti anatomiche e cauterizzando le ferite con precisione maniacale.
Così, come uno scultore che plasmi il suo modello nella cera o nella plastilina, prima d’impugnare lo scalpello, Daniele Girardi realizza i suoi prototipi prima di avviare quel processo di trasfigurazione che dona alle sue creature il soffio vitale.
Dopo aver fotografato i suoi modelli, scegliendo le inquadrature più suggestive e i tagli prospettici più coinvolgenti, quelli, per intenderci, in cui lo sguardo dell’animale incontra quello dell’osservatore, Girardi interviene sul supporto con acidi ed acrilici.
Quest’ultimo passaggio è forse il più importante, quello in cui l’apporto pittorico, per mezzo di progressive aggiunte e cancellazioni, compie la definitiva trasfigurazione.
La Chromogenesis è finalmente compiuta.
Non resta che archiviare i modelli, immergerli in una sostanza che richiama la formalina e conservarli in barattoli di vetro, degni di uno scienziato dell’Età dei Lumi. Il resto è Storia e, come tale, potrebbe finire sugli scaffali di un laboratorio di ricerca o nelle teche di un Museo di Scienze Naturali, a memoria delle generazioni future.
…fino in fondo
Lo stile pittorico di Daniele Girardi, fissato nelle sue formelle rettangolari, esposte come fossero parti di un grande polittico o come tavole di catalogazione sulle pareti di un Centro di Ricerca, richiama da un lato la violenza cromatica dell’espressionismo e dall’altro la velocità e la semplicità dei graffitisti degli anni Ottanta. Eppure non somiglia né all’uno né all’altro e non può considerarsi, come qualcuno ha scritto, una filiazione del bestiario poetico di Franz Marc, perché con quest’ultimo non condivide l’atmosfera fiabesca e fantastica. Quelle di Daniele Girardi sono immagini dure, che nulla concedono alla rêverie, ma che piuttosto si stagliano, minacciose, come i bestiali demoni dei capitelli di Sant’Antimo o gli apocalittici mostri delle miniature francesi del XIII secolo.
Gli ibridi mutati di Girardi procedono lungo una linea che và dalla tradizione classica dei grilli greco romani a quella fiorita del Gotico europeo, passando attraverso il campionario iconografico dei mostri e dei demoni dell’antico Tibet e del Celeste Impero.
Le rane con arti di scorpione e antenne d’insetto, i quadrupedi con teste di coccodrillo, i rettili bifronti dell’artista veronese sono i pronipoti aggressivi e mutageni di antichissime e favolose creature, l’evoluzione genetica di draghi, fenici, lemuri, ippogrifi, sirene, unicorni, centauri, leviatani, chimere, cerberi ed arpie. Sono il sintomo di un sovvertimento, la cristallizzazione simbolica ed archetipica di una parte dello spirito umano, che secoli e secoli di Storia non hanno potuto arginare e che riemerge allorché vacilla la stabilità di una civiltà. “Quando questa stabilità viene alterata – scrive Jurgis Baltrušaitis nel suo Il Medioevo Fantastico – quando le metamorfosi delle forme e dello spirito scatenano la fantasia e l’immaginazione, ecco che ritroviamo il mostro e la bestia, e le stesse divinità dell’Olimpo rivestono spesso un carattere selvatico, quasi animale”.
D’altra parte, come ha giustamente scritto Edoardo di Mauro, “da sempre l’immagine degli animali ha assunto una precisa valenza simbolica, in particolare in ambito rituale e religioso, ma anche politico, come icona in grado di riassumere, in termini di potenza sia salvifica che distruttiva, le caratteristiche di una determinata entità o funzione”. Un esempio del valore positivo che alcuni animali assumono nella tradizione cristiana medioevale ce lo fornisce il Paradiso dantesco, laddove l’immagine dell’Impero Romano è trasposta nella forma dell’Aquila e quella del Cristo nel Grifone che conduce il carro trionfale dell’Ecclesia.
Dunque, l’iconografia animale, con le sue molteplici varianti, è servita storicamente a simbolizzare ora i vizi ora le virtù dello spirito umano.
Nel solco di questo discorso, l’opera di Girardi si definisce come una ulteriore riflessione sul valore archetipico dei bestiari. E lo conferma l’attitudine con la quale l’artista si accosta al proprio lavoro che è, al contempo, una disamina dell’ibridazione animale e un’analisi del processo stesso di trasformazione creativa. Come un alchimista abituato a mescolare sostanze e composti diversi per trovare la pietra nascosta, Daniele Girardi mescola e confonde i diversi medium del disegno, della fotografia e della pittura per individuare il segreto della trasfigurazione. A trasformarsi, quindi, non sono solo le icone di nuovi esemplari zoologici, ma la materia stessa nel suo farsi immagine.
Come la pratica alchemica non è solo, come vorrebbero in tanti, una sorta di Chimica ante litteram, ma un processo ascensionale di raffinazione dello spirito, così la ricerca artistica di Girardi assume le sembianze di un’autoanalisi, di una pedagogia spirituale che, attraverso la grammatica di nuovi futuribili archetipi, esorcizza il potenziale dei demoni interiori per enfatizzare, in fine, le qualità di un’umanità in corsa per l’emancipazione.
NELLA NUOVA FATTORIA…
Gianluca Marziani
Bestiario mutante da cui scivola via l’identità certa delle forme. Zoografia anomala che somiglia al vero, figlia artificiale di uno sguardo altrettanto anomalo sul vivente. In parole povere e idee ricche: alcuni animali appaiono dentro le piccole opere, simili a quelli che l’esperienza enciclopedica ci tramanda ma ormai modificati nel loro scheletro d’origine. Non esiste più la vecchia fattoria che consolava i sogni infantili. Oggi, nella nuova fattoria scientifica ci stanno loro, animaloidi muta(n)ti che sgretolano la nostra certezza sul presente.
L’autore di questa fattoria si chiama DANIELE GIRARDI. La definizione X – FARM rende l’idea di un’incognita dentro la normalità apparente. Un luogo del dubbio radiografico, una sorta di laboratorio scientifico in cui natura reale ed artificiale si combinano tra il plausibile e l’impensabile.
Nulla è più errato della convinzione che certi eventi non accadranno mai. Di fatto, tutto già risiede davanti ai nostri occhi e il futuro della specie lo costruisce l’esperienza, il grado di evoluzione collettiva, la capacità di metabolizzare errori ed imperfezioni. E’ la scienza che domina il presente per ridarci ipotesi trasgressive, spesso necessarie, altre volte perverse rispetto alle conseguenze del risultato. Ma proprio la scienza ipotizza gli azzardi della specie vivente: dal positivo al negativo con un arco in cui prevalgono regole, formule, tesi chimiche, un senso matematico del mondo. Accanto alla scienza, però, pulsa un immaginario che ipotizza il futuro attraverso la pura creatività. Gli artisti, sperimentatori che rischiano sulla pelle dell’opera, mostrano in anticipo quel futuro che la scienza, spesso nel pieno dilemma etico, conferma coi fatti. Aprono vie dove il fantastico incontra il reale, manipolano l’inconciliabile e creano la vera conciliazione degli opposti. L’artista sottolinea il limite della scienza, ovvero, la presunzione di ridurre tutto ad un pragmatismo dove scemano emozioni e sentimenti. L’opera contiene così una scientificità involontaria dentro un coacervo di visionarietà emotiva, fortemente cerebrale ma anche poetica. Una specie di preveggenza augurale tra il quadro e la vita: con la speranza che le proprie visioni restino “imprigionate” nel riquadro, impossibili se non dentro la magia inventiva dell’opera.
Ma torniamo ancora più indietro, all’inizio del tratto immaginifico. A quando il disegno su carta dissemina i segnali già definitivi di una visionarietà crudele. Girardi parte dal foglio bianco, il più onesto degli incipit visuali. E sul candore di cellulosa imprime le istanze mentali di un viaggio dalle apparenze fantastiche. L’asciuttezza stilistica, l’indecisione calibrata del tratto e la piattezza dei fondali ridanno un gioiello del disegno contemporaneo. Comprendi l’idea complessiva già dal foglio, intuisci i percorsi del futuro quadro. E stranamente, benchè l’opera sia frammentaria per natura, definisci la posizione etica dell’artista. Senti sempre il contenuto denso del singolo sketch, ritrovando un tratto emotivo che odora di memoria rinascimentale e urla espressioniste, candore poetico e postgraffitismo universale. Nei singoli disegni scovi l’energia che i migliori innovatori hanno trasfuso nel ventre della matita. Diverse iconografie profonde, non a caso, passano per il foglio bianco dove le anime prendono sembianze corporee. Accadeva così alle utopie visionarie di Leonardo, alle raffinatezze virginali di Raffaello. Fino alle monadi babilonesi di Gino De Dominicis, ai distillati poetici di Juliâo Sarmento. Girardi definisce il proprio orizzonte nelle fattezze schizoidi del suo tratto su foglio bianco. Sta tutto lì dentro, proprio come gli artisti citati racchiudono nella matita la completezza della personale visione.
Il progetto X – FARM nasce da una precisa attitudine figurativa, da un modello stilistico che attraversa gli ambiti solidi della memoria iconografica. Il primo dato che spicca è il colore acido delle immagini, un andamento cromatico lungo dominanti variabili tra il rosso ed il giallo. Il fondale diviene un campo acceso di espressionismi visuali. Arde nella sua epidermide astratta ma morbidamente vibrante. Ci sono i toni delle scuole selvagge tedesche, Franz Marc in particolare. Proprio quest’ultimo, maestro di un bestiario poetico ed universale, racconterebbe così il mondo postscientifico: indagando le modifiche che toccano la civiltà nel suo cuore profondo, immaginando le derive basculanti della tecnologia che accerchia la specie vivente. Chissà cosa penserebbe Marc di un Girardi che osserva la fauna per ricrearla coi mezzi contaminati del presente. A noi basta immaginare una sintonia a distanza, una sorta di rispetto invisibile che lega la memoria dell’immagine figurativa. Perché non ci sono dubbi: l’architettura estetica nasce da mille approdi e altrettante avventure trascorse, da un metabolismo complesso dei linguaggi. E quello di Girardi rispecchia il senso mutante di una natura in pericolo che vuole resistere, guardando gli errori del passato nella versione aperta del futuro.
Natura descritta e natura dell’opera si specchiano in una simmetrica tensione nervosa. Le mutazioni della specie assumono i connotati di due o più animali nella stessa figura. Vedi musi che non corrispondono alle zampe, pelli in contrasto con gli scheletri originari, dettagli ai limiti di una profezia cubista. Le bocche si spalancano, i corpi si tendono, gli sguardi cercano qualcosa nell’aria. Ieri avevamo una piccola fattoria dove il bestiario si mostrava conciliante, quasi domestico. Il nuovo ciclo di X – FARM, invece, cerca una fauna meno docile, più crudele nelle posture, rabbiosa nei modi, molto più “umana” nel suo esserci. Gli stessi tagli ed angolazioni caricano la tensione formale, creando una sospensione filmica dentro ogni inquadratura. Il quadro vive la propria immobilità come un display arcaico che blocca alcuni istanti e li rende avvolgenti, iconograficamente collosi.
Dal disegno prendono forma le dissezioni chirurgiche del bestiario in plastica rigida. Avete presente gli animali in Pvc con cui giocano i bambini? In gran numero invadono lo studio di Girardi e attendono la loro sorte bionica. Vengono ricostruiti secondo ibridazioni forti ed ispirate. Finchè, una volta definiti nel nuovo status, diventano il soggetto finale del quadro.
I quadri sono formelle di piccolo formato, un preziosismo cesellatorio che stratifica la memoria della superficie. L’artista arriva al risultato per passaggi dialoganti. Attraverso il disegno, come già detto, definisce il senso della visione. Da qui passa agli animali in plastica. Subito dopo stampa il risultato scultoreo sopra un foglio di grossa grammatura, creando una base su cui pittura ed acidi intervengono in fase definitiva. Il quadro mostra cancellazioni, segni forti, zone che spuntano come fossero di carne viva. La superficie pulsa tra ravvicinamenti e fondali magmatici, tra lampi luminosi e dettagli dove la pelle scarnifica la superficie. Gli acidi tolgono materia, i pigmenti acrilici aggiungono strati epidermici, sciogliendo le grane in una mescolanza bilanciata tra zone lucide ed opache. A cui si somma una resina cerata che immerge l’immagine in una densità ancora maggiore. Un oceano di sensazioni tattili che, come la struttura degli animali, si compone di linguaggi opponibili ma perfettamente fusi.
Vedo le opere sul muro, secondo gruppi compositivi in cui le storie si scambiano energie comuni, catalogando la propria ossessione in un modello dalle apparenze scientifiche. Ripenso alla fusione dei vari linguaggi e torno alle mie idee sul Nuovo Quadro Contemporaneo, alla memoria iconografica che incontra la tecnologia e aderisce alle istanze della società odierna. Nessun facile trucco ma una metabolizzazione tra manualismi ed elettronica. Un luogo figurativo dove scompaiono le differenze e la visione tocca il giusto grado di maturità espressiva.
Amare la natura è il polmone sinistro della propria etica. Amare l’arte è il polmone destro della propria etica. Raccordare le due cose diventa lo scopo di Daniele Girardi. Un’ossessione che lo segue, onesta e fedele, fin dai tempi infantili. Una vera sfida. Che diviene la sfida di tutti gli sguardi sensibili, attenti, contemporanei.
Il senso di sfida creativa scorre nella sperimentazione dell’artista, cercando territori diversi dentro una medesima ossessione interiore. Ad un certo punto le stesse sculture, piccole e turbative, occupano una nuova collocazione dentro barattoli da Museo di Storia Naturale. Galleggiano in un liquido solido, immobili nella vasca che conserverà la loro memoria fisica. Tornano alle origini del liquido amniotico, nella strana (ri)nascita che sottolinea una natura e un’arte più “naturali”.