Valerio Berruti ” Icone domestiche” a cura di Maria Chiara Vallacchi Dal 3 marzo al 25 marzo 2004
Icone domestiche
Per i nestoriani la vergine non poteva essere propriamente chiamata “ madre di Dio” ella era solo la madre di Gesù, l’uomo. Valerio Berruti è un nestoriano moderno, lui che ha deciso di abitare in una chiesa e che ha distrutto e rielaborato la concezione di sacralità cattolica che viene legata da sempre alla famiglia. Ha donato alle sue “ icone” familiari una nuova sacralità, portando un’esaltazione del divino al reale. Il fatto stesso di erigere su di una sorta di altare ricoperto di merletti queste cornicette con all’interno ritratti di persone, le trasforma in immagini devote, una devozione umana, quella che noi proviamo per i nostri cari. Ma le immagini non descrivono personaggi immediatamente identificabili, l’aspetto compositivo ed i colori hanno la meglio, non sono ritratti, non vogliono nemmeno esserlo: sono figure, sagome amorfe, che ci ricordano le foto che popolano i nostri album, le stesse scattate da fotografi improvvisati che ci propinano le stesse pose, gli stessi tagli prospettici. Si assomigliano tutte, divenendo un linguaggio visivo comune che tutti hanno vissuto. Nelle piccole opere i ricordi si ripercorrono, si definiscono, si rivedono le foto dei compagni di scuola, della sorellina imbronciata, dei genitori, dei nonni, lo stato emozionale rivive fino a che l’occhio abituato viene attratto dal colore, dalle linee e dalle righe percependo una armonia astratta. Gli arti dei figuri creano disegni geometrici e il fondo di colore puro fluttua sulla carta rozza. La tranquillità e gentilezza di queste opere ci allietano lo sguardo e il significato ci riconduce ad uno strato embrionale. Liquido amniotico. E’ attraverso questo filtro che dobbiamo guardare i piccoli e infantili disegni. E cosa c’è di più sacro della creazione? Famiglia, madre, padre. La trinità accennata si dipana e si annienta nella semplicità del tratto, del segno continuo che crea contorni piatti e vivi. Sacro e profano, blasfemo ed elegiaco si scontrano nella duplice personalità di Valerio Berruti, che rivive nelle opere, nel segno, nelle demarcazione di confini. Isole sperdute nello spazio definito di una cornice argento, paradisi idilliaci conosciuti. L’innovazione sta proprio nella ricerca del segno, la ricerca di un tratto definito e definibile. I pennarelli colorati, materiale naif e ludico, danno vita ad un linguaggio personale dell’artista che descrive e crea immagini. Linee nette che si impregnano nelle fibre del supporto, il colore che penetra istantaneamente senza lasciare alcuna possibilità di errore. Appunti di famiglie, incedere di parole segniche, che definiscono idiomi in un automatismo pulsante. Improvvisazione musicale, irriproducibilità di foto sono fonte d’ispirazione senza ghettizzare l’immagine. Valerio Berruti si serve di queste riproduzioni in bianco e nero, non per copiarle, ma per riviverle, ridefinirle a seconda del suo stato d’animo, del suo presente. Con il gesto rituale e la follia della materia infantile Berruti ci regala icone, le nostre sacre icone domestiche.
Maria Chiara Valacchi