La pianta della Mandragora – a cura di Stefano Castelli dal 18/04/2007 al 18/05/2007
CARTOGRAFIA DELL’INSONDABILE
Ci siamo persi: le mappe cognitive non funzionano più, la capacità di autoindividuazione è un’arma decisamente spuntata, denotazione e connotazione si sono chiuse una sull’altra, reale simbolico ed immaginario si sono definitivamente mischiati (a discapito del reale, attualmente l’elemento debole della triade).
Qualsiasi nuovo strumento orientativo sarebbe il benvenuto, nel frammentato deserto postmoderno. In mancanza di meglio, anche una registrazione dell’esistente può fungere da temporanea ancora di salvataggio.
L’arte -multiforme, cristallizzata, fluida e conglomerata- di Claudia Zuriato compie una registrazione spettrografica del fenomeno puro e del suo accadere, del suo manifestarsi. Si viene a creare come una cartografia che proceda per note a margine, costeggiando un centro che non si palesa. Esiste, nell’universo della Zuriato, un solo piano percettivo -nè ortogonale nè post-euclideo, semplicemente astratto, ipotetico. Su di esso si stagliano la concrezione e l’indefinitezza, forme diverse nascono le une dalle altre, forme simili si dividono come per partenogenesi, irridendo alla simmetria che esse stesse sembrano creare.
Il mondo delle forme creato da Claudia possiede almeno un elemento di riferimento: è il segno, ricorrente, che può essere preso come bozzolo, come conformazione vegetale, anche come fenditura vaginale. Comunque sia tale segno rappresenta un’origine per il mondo autogenerato ed autoreferenziale dell’artista. Da questa origine tutto nasce, da essa tutte le forme cominciano a svolgersi. Da qui nasce la forma stessa, la forma pura che caratterizza questi quadri.
La scalfittura operata con il bulino rivela la maestria dell’artista, e tramite essa acquista le caratteristiche del disegno puro e assieme della scrittura.
Altro tratto distintivo è la lucentezza di alcuni luoghi delle opere, ottenuta con la resina. Tale tecnica non costituisce un espediente, come ad esempio avviene con l’uso degli smalti da parte di molti pittori in cerca di rifinitura che renda appetibile l’opera. E’ come se la resina traspirasse dalla parte più interna dell’organismo vivo che è il quadro, la rilucenza non è sovrapposta ma parte connaturata dell’opera. Di più, questa “patina” funge da contrasto con le altre “zone” semantiche del quadro, che risultano ancor più “ruvide” e incompromissorie proprio per il confronto con le zone lucide.
In alcune opere interviene una caratteristica che costituisce un punto di riferimento, in questa mappatura senza punti cardinali: alcuni quadri possiedono uno sviluppo orizzontale. In essi entra la categoria della temporalità; si tratta di un tempo svolto, linearizzato, dove le simmetrie scandiscono il passaggio visivo e mentale da un segno all’altro. Non è un caso che sia proprio in questo tipo di opere che compaiono abbozzi di figure umane, seppur caricaturali, tragiche e marionettistiche.
La fusione tra opera, supporto e materiale è totale; la logica del quadro risulta preesistente alla sua attuazione, la conformazione dell’opera possiede l’ineluttabilità dell’oggetto che non poteva che esistere in quella precisa forma.
Il segno è già forma, ma il segno e la forma non diventano mai simboli. Non esiste simbolo dal significato accertabile, nelle opere di Claudia. Certo, ci si può concedere il gioco di provare a intravvedere delle figure, ma il tentativo è fallimentare in partenza. Se un particolare dell’opera richiama forme riconoscibili, subito le zone circostanti negano questa sensazione di familiarità. E’ il paradosso di una mappa senza funzionalità orientativa, che proprio per questo potenzia il suo valore.
Le opere sono enigmi, e tali restano. Proprio questa natura di mancato disvelamento è ciò che rende meritevole il lavoro dell’artista: innanzitutto perché un enigma è un mondo autonomo e inedito; in secondo luogo perché il distacco dal determinismo è un atteggiamento che provoca sollievo, nella situazione senza riferimenti nemmeno linguistici descritta all’inizio di questo testo.
Enigmi, si è detto: anche nel senso che sono opere inspiegabili : non se ne può individuare l’origine né la finalità; non si può ricondurle a un significato o a un referente preciso. Siamo in una situazione molto più stimolante di quella in cui il referente sia ambiguo e passibile di discussione: qui siamo senza referente, con un paradosso logico che non è frequente nemmeno nell’astrattismo.
Se oggi l’astrattismo è inerte e proprio perché è stato ucciso dalla dittatura del referente, dal dibattito asfissiante tra reale e virtua-
le, tra effettivo ed immaginario. Nel caso della Zuriato, il referente è, come detto, estromesso, con un’operazione concettuale che costituisce un punto di benefica interruzione rispetto all’imperare della figurazione e della magniloquenza, in atto nell’arte di oggi.
Lo svilupparsi delle forme è qui invece sussurrato, silenzioso, subdolo e sedimentato.
Nessuno dei sistemi di categorie usuali è utilizzabile per spiegare queste opere. La tripartizione Lacaniana in simbolico reale e immaginario è smentita, in quanto tutti e tre i termini sono sospesi, congelati se non annullati.
Il segno, il simbolo e il referente si appiattiscono l’uno sull’altro, vengono a coincidere, e così facendo si potenziano a vicenda: è come se di essi restasse solo l’idea, il concetto, non l’attuazione.
Anche significato e significante coincidono e si annullano a vicenda.
La dialettica modernista non funziona più: essa aveva uno svolgimento lineare, che sondava la natura dell’individuo e del mondo esterno; qui, lo svolgimento è entropico. Grande è l’eccentricità anche rispetto al postmoderno: la frammentazione è ricomposta, il gioco di specchi riflette solo se stesso.
Non risulterebbero adeguate nemmeno le metafore biologiche o cosmologiche, che svilirebbero la feconda aleatorietà estetica delle opere della Zuriato.
Ciò che si può riscontrare in queste opere è una sorta di “scrittura automatica”, quel processo di pensiero e di creazione tanto caro alle avanguardie e in particolare al Surrealismo. L’incisione operata da Claudia non spiega se stessa, e quindi manifesta qualcosa di preesistente. Così è per le forme che, seppure autonome, sembrano generarsi da un principio che non si manifesta. Sorge alla mente l’universo teleologico creato dal grande H.P.Lovecraft; in esso le forme misteriose, aleatorie e magmatiche che emergono nel presente sono il frutto, più che del passato, di un principio ancestrale inestirpabile, destinato a ritornare. E’ come se in queste opere rivivesse il mondo Lovecraftiano, depurato però della sua componente spaventosa: rimangono solo il mistero e il fascino. Sobrio, sì, ombroso, ma vitale.
Stefano Castelli