Giuseppe Bombaci / Marco Cassani – Bifocale scomposta – dal 17/04/2008 al 17/05/2008
DISLOCAZIONI
di Stefano Castelli
La nostra società conformista è spasmodicamente alla ricerca dell’eccezione che conferma la regola. Nel caso dell’opera di Giuseppe Bombaci possiamo invertire i termini: la regola conferma l'”eccezionalità”. Per regola intendo il canone, la dose di “classicismo” che permane in Bombaci pur se rivisitata. Questo retroterra permette però di cogliere con grande facilità la dose di innovazione e di contemporaneità, ossia la parte che più rileva e incuriosisce in questi lavori. Ecco l'”eccezionalità”.
Va detto che il percorso del giovane pittore procede all’inverso rispetto a ciò che avviene di solito. La poetica pop di inizio carriera ha lasciato gradualmente il posto a una consistenza più puramente pittorica, innovatrice ma memore di alcune selezionatissime istanze del passato in tale campo. Una pittoricità che procede per avvicinamenti e ripensamenti sulla strada dell’iconoclastia, quest’ultima a sua volta smorzata dalla pittoricità stessa. Il prodotto di questa danza ha un sentore di metapittoricità, un profumo che non viene smentito da un’analisi speculativa delle opere.
Il titolo della presente mostra parla di carnalità, concetto accostato da Bombaci percorrendo la via del paradosso. I personaggi, infatti, sono dei “devianti”. Persone non canoniche, non rispondenti del tutto ai canoni della normalità indifferenziata. I particolari incongrui che li caratterizzano sono fonte di inquietudine ma anche di fascino. L’attrazione che si prova nei loro confronti non è dovuta a morbosità di sorta, ma esclusivamente all’operazione di poetica dell’artista. Egli li colloca quasi sempre frontali, e comunque in primo piano; li rende sensuali grazie al rosso e alla compenetrazione assoluta tra figura e sfondo; infine, li familiarizza facendo sì che il loro sguardo incroci il nostro.
Si tratta, al contrario del “Corpo senza organi” prescritto da Artaud, di corpi fatti solo di organi, corpi pulsanti di materia, dignità e densità di singnificato. Di corpi senza pelle, come fossero rivoltati all’esterno per infrangere gli infingimenti sociali che mediano la percezione di un individuo, anche quando questo si presenta disarmato e pacifico al nostro sguardo. Ecco: al contrario che nella società, nei quadri di Bombaci il soggetto che si presenta ai nostri occhi non è visto come un ostacolo da oltrepassare con lo sguardo, né come un rivale in una competizione tra poveri. Ciò che rileva è proprio la persona che ci si para davanti, che acquista una sacralità che nulla ha di religioso. Anzi, si tratta della sacralità fondante del pensiero laico, che fissa come estremo baluardo la dignità dell’individuo.
Anche le ambientazioni sono inusitate, essendo “non-luoghi” della memoria. I soggetti vi si trovano come in seguito a dislocazioni improvvise, variazioni subitanee nella vita del soggetto che istituiscono uno spazio inedito. Movimenti originari che determinano uno spazio condiviso: la memoria del personaggio, autrice dell’ambiente, viene a coincidere con quella personale dello spettatore e con quella dell’opera, che appare vissuta, sperimentata e oggetto di un confronto dialettico.
Si parlava di metapittoricità, all’inizio del presente testo. È in tale campo che si manifestano le altre sfide intraprese dall’artista.
Innanzitutto, il superamento dei confini del quadro, così caro a tanta avanguardia del Novecento. Bombaci non lo mette in atto concretamente, ma lo raggiunge simbolicamente. Si amalgamano soggetto e ambiente, figura di primo piano e sfondo, in un’estensione copulativa del dominio della carnalità, che diventa generalizzata intaccando essa stessa i propri confini. Questo amalgama, dunque, rende la scena presente, vivace e paradossalmente vera. Concettualmente panoramica, potenzialmente infinita come ampiezza. I confini si frangono, ed è impossibile non sentirsi parte della scena raffigurata, non vedersi giacere a fianco dell’inusitato soggetto dimentichi del mondo effettivo e presente.
Da qui, il secondo punto di indagine: il concetto stesso di realismo. L’anomalia dei personaggi e la qualità allucinata delle scene non le rende meno reali ai nostri occhi. Un realismo non provocato tecnicamente, ma raggiunto per scatti di senso che attengono alla sfera emotiva e dell’empatia.
Ecco poi la parziale piattezza che diminuisce la pittoricità di cui prima si parlava. È il parziale appiattimento della scena su se stessa, che contribuisce alla panoramicità, al paradossale realismo, ma anche alla compattezza della visione, accentuata dalla matericità. Una matericità interpretata con molta sensibilità, cosa oggi piuttosto rara, e che si sedimenta per ripensamenti successivi.
Va infine dedicato almeno un po’ di spazio alle prove maggiormente “pop” dell’artista, quelle in cui strani bambini dalle orecchie a punta campeggiano in spazi anti-connotativi. Sono le opere della serie Gundam. Sono appunti, dichiarazioni di presenza inerme, dislocazioni di personaggi che concettualmente richiamano al metodo del riporto, appartenente alla Pop. Ma si tratta di un pop sublimato, non ricercato dall’artista, che rimane come sottotraccia, come precipitato di una poetica che guarda anche altrove rispetto agli impulsi visivi d’oggi –pur non rifiutando la collocazione temporale del lavoro stesso. Qui il rosso scema in gradazioni più tenui, e la compattezza della visione viene di proposito a raffreddarsi, come per far respirare gli esseri che vi si trovano.
Tornando ad opere come Carnale e Ragazza in ambiente rosso, che costituiscono il corpo di questa mostra e l’oggetto principale di questo testo, esse sono probabilmente fino ad ora il risultato più compiuto raggiunto da Bombaci. Sono la summa e il superamento delle opere “pop” e di quelle più classicamente pittoriche dipinte in passato.
Opere che non mancheranno di evolversi a loro volta, ma che segnano un punto fermo anche e soprattutto grazie al loro rossore incongruamente carnale e alla compattezza che ne segna la presenza eloquente. Presenza da sperimentare e ricordare.